PRENDIAMOCI CURA DELLA PERSONA E NON DELLA MALATTIA
La prevenzione primaria e secondaria in tutti gli ambiti – oncologico, cardiovascolare, nefrologico, metabolico, ortopedico solo per citarne alcuni – e gli screening di popolazione, che hanno dimostrato una efficacia nell’impatto sulla salute della comunità, rappresentano un terreno di grande interesse ai fini del riposizionamento del ruolo delle Aziende Sanitarie.
La crescente consapevolezza di quale sia la sua rilevanza nell’intervento preventivo sui determinanti della salute, per garantire non solo maggiore efficienza complessiva nell’utilizzo delle risorse, ma anche e soprattutto maggiore efficacia nel raggiungimento di risultati di salute durevoli, sta infatti spostando – anche se lentamente – il perimetro di azione del Servizio Sanitario Pubblico.
A prescindere dai vantaggi di una cultura della prevenzione, sono le caratteristiche identitarie e le finalità stesse del Servizio Sanitario Pubblico ad essere oggetto di un cambiamento ormai necessario: si tratta di una vera metamorfosi poiché questa transizione rappresenta il passaggio da un modello scientista, deliberativo, nomotetico16, reattivo ad un modello partecipativo, multiculturale, proattivo, idiografico17.
Quello che oggi si va consolidando come approccio di population health management non andrebbe infatti inteso come un indistinto intervento di ‘tradizionale’ sanità pubblica, quanto come un innovativo scenario caratterizzato da:
- un ‘sistema per la salute’, in grado di agire proattivamente attraverso l’espressione di politiche intersettoriali che contribuiscano alla creazione di un ‘ecosistema per la prevenzione’ (scuola, mobilità, alimentazione, ambiente, aria, urbanistica, servizi per la salute);
- la co-costruzione di interventi in logica partecipativa, nei quali condividere strumenti, luoghi, tempi, per la definizione di una semantica della prevenzione che veda agire – integrandole orizzontalmente – le componenti della società oggetto dell’intervento, in modo al contempo sussidiario e multistakholder;
- la capacità di intercettare le mutate dinamiche sociali che richiedono la elaborazione di una moderna idea di prevenzione, soprattutto da parte degli operatori stessi. Per troppi decenni, infatti, gli interventi di prevenzione primaria sono stati relegati ad un’area marginalizzata, dapprima dalla focalizzazione sul contrasto alla acuzie infettiva con interventi di sanità pubblica (che hanno portato comunque a straordinari successi sulla salute della popolazione complessivamente intesa) e successivamente dalla deriva di una prevenzione secondaria centrata prevalentemente sul trattamento farmacologico e/o interventistico. Solo l’accrescersi esponenziale della conoscenza sui determinanti di molte patologie oncologiche e l’affermarsi degli screening come strumenti efficaci nella diagnosi precoce (oltre ad un approccio orientato alla valutazione del valore generato attraverso la rilevazione del ritorno sugli investimenti, o ‘ROI’) hanno consentito di allargare nuovamente l’area di interesse sulla prevenzione nelle sue diverse dimensioni.
La valutazione dell’impatto psicologico della prevenzione, già affrontato in apertura del capitolo, richiama tuttavia ad ostacoli il cui superamento richiede un esplicito e determinato commitment, sia esso individuale che organizzativo.
Dalla analisi di Platone nel Protagora ad oggi, il comportamento umano non si è evoluto, e se lo ha fatto, è stato prevalentemente nel senso opposto a quello auspicato, almeno per le finalità di cui trattiamo. La capacità cioè di una ricompensa (la salute) di esercitare un potere di influenza sulla condotta è tanto minore quanto maggiore è l’intervallo di tempo che intercorre fra quella condotta (virtuosa) e la ricompensa stessa. La gratificazione di un comportamento non virtuoso per la salute, ma in grado di trasmettere un piacere immediato, vede realizzarsi a suo vantaggio la dimensione quasi fisica del rapporto comportamento/ricompensa: più questa ultima dista nel tempo e più ci appare piccola o addirittura ipotetica.
Una lotta impari quindi? No, una sfida multiculturale, nella quale al management delle Aziende Sanitarie sono richieste competenze nuove e diverse, insieme alla capacità di costruire nelle organizzazioni la cultura per l’interpretazione di un profilo dell’Ente profondamente nuovo. Alle Aziende Sanitarie spetta infatti un ruolo di primo piano fra le agenzie presenti sul territorio nel contribuire alla creazione di un ecosistema per il prevenzione delle patologie oncologiche, sia come ente tecnico – in grado di favorire con le proprie competenze la declinazione di politiche orientate alla prevenzione primaria attraverso la creazione dell’ecosistema cui prima si accennava – sia come agente che opera per la salute dei propri dipendenti19.
Ed è proprio la targettizzazione di tali azioni di prevenzione l’altro e copernicano cambiamento che può potenziare l’efficacia di tali interventi: agire attraverso strumenti che, adottando modelli comunicativi e motivazionali come quelli descritti nelle esperienze raccolte nel presente capitolo, identifichino linguaggi che facciano evolvere radicalmente i modelli già noti di divulgazione dei messaggi di prevenzione primaria, secondaria e delle campagne per la adesione ai programmi di screening.
La necessità è infatti quella di trasformare ‘i luoghi esperti’ in ambienti ed in connotati ‘sociali’ in grado di trasmettere immagini positive, perfino coinvolgenti, contestualizzate, laddove non sia più solo – anzi sempre meno – l’elemento nosologico della ‘malattia’ a catalizzare le attenzioni e le azioni, quanto la ‘salute’, in qualunque delle sue possibili declinazioni, e la sua espressione come massima declinazione di libertà di autodeterminazione.
Per fare tutto questo abbiamo bisogno di proseguire in una stagione che il Servizio Sanitario sembra già aver inaugurato: quella di includere la componente civica (associazioni, rappresentanze sociali), le culture non solo tecnico-scientifiche, e di ibridizzare esperienze, punti di vista e saperi. Insomma ci è richiesto di curare e prenderci cura delle persone (e non delle malattie), di conoscere e riconoscere la complessa e diversificata popolazione degli individui in mezzo ai quali le Aziende Sanitarie operano, e di spingere decisamente il nostro impegno nel ruolo di agenti sociali, ed un po’ meno nel ruolo di agenzie tecnico-scientifiche.
Il capitale professionale e le competenze manageriali per realizzare questi obiettivi sono già nella disponibilità delle Aziende Sanitarie? Probabilmente non in modo sufficiente. Si tratta infatti di investire in uno skill mix fortemente innovativo, che ad oggi non fa parte delle competenze disponibili nell’area del middle management o degli staff delle aziende. La ricerca e la costruzione di tali competenze sono certamente una condizione necessaria ma non sufficiente: la generazione di un valore reale nell’ambito della popolazione sarà possibile a condizione che l’impegno nell’innovare le politiche di prevenzione rappresentino una azione sistemica e vengano considerate dal management un vero asset per le organizzazioni sanitarie.
Fonte: tratto dal 10° Rapporto sulla condizione assistenziale dei Malati Oncologici