TRATTAMENTO
Secondo Mazyar Shadman – del Fred Hutchinson Cancer Research Center – lo sviluppo dei farmaci con specifici bersagli molecolari ha cambiato il panorama terapeutico della Leucemia Linfatica Cronica (LLC), consentendo ai medici di concentrarsi sulle combinazioni e le sequenze che hanno le maggiori probabilità di produrre risposte profonde con la massima potenzialità di cura.
Mazyar Shadman ha affermato che “Gli studi in corso permetteranno di identificare il trattamento in grado di produrre risposte profonde senza malattia rilevabile. Questo ci darà l’opportunità di interrompere il trattamento oppure di mantenerlo con effetti collaterali minimi.
Con l’avvento delle prossime generazioni di inibitori della tirosin-chinasi di Bruton (BTK) o degli inibitori della fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K) potremo usare questi farmaci con un farmaco come Venetoclax (Venclexta). L’intento sarebbe di trattare per un periodo limitato di tempo nella speranza che il trattamento sia risolutivo o – se la guarigione non fosse possibile – che permetta al paziente di vivere il più a lungo possibile senza malattia”.
Al repertorio dei farmaci disponibili si è recentemente aggiunto Duvelisib (Copiktra), approvato dalla Food and Drug Administration nel settembre 2018 per il trattamento di pazienti con Leucemia Linfatica Cronica recidivante/refrattaria/linfoma a piccoli linfociti (LLC/LPL) o con linfoma follicolare recidivante/refrattario.
L’indicazione per LLC/LPL si basa sui dati dello studio di fase III DUO, dove Duvelisib, confrontato con Ofatumumab (Arzerra), si è associato a una riduzione del 60% del rischio di progressione di malattia o di morte, con una mediana della sopravvivenza libera da progressione di 16,4 mesi rispetto a 9,1 mesi (hazard ratio 0,40).
Intervistato durante il summit OncLive® State of the ScienceTM sulle neoplasie ematologiche di quest’anno, Mazyar Shadman ha parlato dell’evoluzione della terapia della Leucemia Linfatica Cronica e di come i medici stanno lavorando per un uso equilibrato dei nuovi farmaci con strategie terapeutiche aggiuntive.
OncLive®: Quali progressi si sono visti nel campo della Leucemia Linfatica Cronica negli ultimi due anni?
Shadman: Negli ultimi anni abbiamo assistito a importanti progressi nel trattamento dei pazienti con Leucemia Linfatica Cronica, soprattutto grazie all’introduzione di nuovi farmaci, quali gli inibitori delle vie di trasmissione del segnale – come Ibrutinib (Imbruvica) e Idelalisib (Zydelig) – e, più recentemente, di un antagonista di BCL-2, Venetoclax. Mentre la maggior parte dei pazienti ha beneficiato di questi nuovi farmaci, abbiamo assistito a un cambiamento importante nel trattamento di pazienti ad alto rischio, in particolare di quelli con delezione 17p e mutazione di p53. In questi pazienti non usiamo più la chemioterapia.
Nonostante i progressi, siamo ancora lontani dal poter guarire questi pazienti. I tassi di risposta non sono così elevati come quelli che vediamo nei pazienti con malattia a rischio standard. Dovremo trovare la migliore sequenza di utilizzo dei nuovi farmaci. Nel frattempo, sono state messe a punto alcune nuove tecnologie per il trattamento. Uno degli approcci più promettenti è la terapia con linfociti T ingegnerizzati per esprimere recettori chimerici per l’antigene (chimeric antigen receptor, CAR) (CAR-T). Al momento questa terapia non è approvata per la Leucemia Linfatica Cronica, ma speriamo nei prossimi anni lo sarà.
Abbiamo anche una lunga esperienza con un trattamento molto potente ed efficace per la Leucemia Linfatica Cronica: il trapianto allogenico di cellule staminali (allogeneic stem cell transplant, ASCT). Tuttavia, dato l’alto tasso di mortalità e morbilità associato a questo approccio, cerchiamo di ricorrervi solo quando strettamente necessario. Ora che disponiamo di nuovi farmaci e di nuove tecnologie, la domanda è: Qual è la corretta sequenza di utilizzo di queste tre modalità di trattamento nei pazienti ad alto rischio?
Nel mio intervento ho presentato i dati sui nuovi agenti, illustrandone l’efficacia, gli effetti collaterali e il futuro utilizzo. Ci si chiede anche qual è il momento giusto per indirizzare un paziente a una sperimentazione clinica con CAR-T e quale sia la decisione giusta, dopo la terapia con CAR-T, in termini di ricorso all’ASCT. Abbiamo ancora molto da imparare, ma in assenza di studi clinici randomizzati, dobbiamo formulare raccomandazioni sulla base dei dati disponibili.
Qual è il futuro di Venetoclax in questo panorama?
Venetoclax è ovviamente uno dei nuovi farmaci. Ibrutinib è un inibitore della BTK che produce risposte eccellenti. Ciò che manca nei pazienti trattati con uno qualsiasi degli inibitori del recettore dei linfociti B è la profondità della risposta. In altre parole, raramente vediamo risposte complete con negatività per malattia residua minima. Per un trattamento in corso, potrebbe non essere un problema reale, ma i nostri pazienti vogliono avere l’opportunità di interrompere il trattamento.
Crediamo che l’interruzione del trattamento sia possibile solo quando si ottiene una risposta profonda. Ciò che rende unico venetoclax è il fatto che può, di fatto, produrre risposte molto profonde. Riscontriamo non solo che i pazienti trattati con venetoclax hanno una risposta molto buona in termini di riduzione delle dimensioni dei linfonodi, ma anche che un buon numero di pazienti ha una malattia minima nel midollo osseo o nel sangue. Con un follow-up più lungo, speriamo che i pazienti con risposta marcata possano interrompere il trattamento e ottenere una lunga ‘vacanza terapeutica’. Questo è il promettente futuro prospettato da Venetoclax; con gli inibitori dei recettori dei linfociti B (B cell receptor, BCR) non vediamo un futuro altrettanto promettente.
Sono in corso numerosi studi che combinano Venetoclax con gli inibitori di BCR, cioè Ibrutinib e le nuove generazioni di questi farmaci. L’idea è di combinare il beneficio di un farmaco molto efficace nell’eradicazione della malattia midollare con l’ottima risposta linfonodale prodotta dagli inibitori di BCR. Con la combinazione speriamo di indurre una risposta migliore e più profonda. Per il futuro, potrebbe configurarsi la possibilità di trattare per un limitato periodo di tempo con una combinazione ottimale per poi interrompere la terapia definitivamente o almeno sospenderla per un lungo periodo. Certo, dobbiamo conoscere meglio le tossicità e la sicurezza di queste combinazioni.
In futuro, dove all’interno del paradigma terapeutico, potrebbero essere inseriti alcuni di questi inibitori di PI3K?
Gli inibitori di PI3K sono una classe di farmaci molto efficace per la Leucemia Linfatica Cronica. Idelalisib è già approvato in combinazione con Rituximab (Rituxan). Attendiamo le prossime generazioni di questi farmaci come Duvelisib e, auspicabilmente, Umbralisib.
Ciò che preoccupa di questi farmaci non è la loro efficacia, bensì la sicurezza e la tossicità. Sappiamo da diversi studi che alcune delle tossicità degli inibitori di PI3K sono più evidenti se li si utilizza in prima linea. L’uso di Idelalisib in un paziente naïve al trattamento non è raccomandato, in relazione al fatto che un paziente che non ha ricevuto la chemioterapia ha un sistema immunitario integro.
Direi che gli inibitori di PI3K hanno sicuramente un ruolo; se non in prima linea, in una linea successiva. In un paziente con malattia ad alto rischio, la chiave è usare qualsiasi agente disponibile quanto più a lungo possibile. Con l’avvento di nuovi inibitori PI3K associati a meno eventi avversi e coi progressi nella gestione di questi farmaci, sarà essenziale trovare il partner giusto nelle sperimentazioni cliniche. Vi sono studi che utilizzano inibitori di PI3K e altri agenti. Abbiamo bisogno di molti farmaci di famiglie diverse, perché gli eventi avversi sviluppati dai pazienti variano da farmaco a farmaco. C’è sicuramente spazio per nuovi farmaci.
Che cosa sperate di imparare dallo studio che sta confrontando ibrutinib con acalabrutinib (Calquence)?
Ibrutinib è stato un vero punto di svolta per la LLC e per molti altri tumori linfoidi. Speriamo che il nuovo inibitore di BTK abbia una maggiore efficacia, ma ciò che speriamo davvero è che la tossicità sia più bassa. La tollerabilità è un problema reale che si incontra nella pratica clinica. Avere un inibitore BTK più ‘pulito’, con meno effetti collaterali, sarebbe l’ideale. Questo è ciò che mi aspetto guardando gli studi di confronto testa a testa tra Ibrutinib e alcune delle nuove generazioni di farmaci.
Quali tipi di prodotti a base di CAR-T sono stati esplorati negli studi clinici?
Conosciamo un poco i CAR-T diretti contro l’antigene CD19. Credo che una futura approvazione potrebbe riguardare queste cellule. Molti centri stanno conducendo studi clinici con CART-T diretti contro altri antigeni, tra cui CD20, ma quelli sui CAR-T diretti contro CD19 sembrano essere in una fase più avanzata. Ci aspettiamo di avere presto degli studi registrativi. Speriamo che questa terapia possa rappresentare un’altra opzione per i nostri pazienti, specialmente per quelli ad alto rischio.
Su che cosa Le piacerebbe che la ricerca si concentrasse nei prossimi anni?
Ora abbiamo nuovi metodi di trattamento come la terapia con CAR-T o l’ASCT se necessario per chi non risponde alle altre terapie. Questo sarà il futuro. È auspicabile che si ricorrerà meno a trattamenti come l’ASCT e ci si baserà di più su combinazioni dei nuovi farmaci e su alcuni degli approcci immunoterapici per i pazienti ad alto rischio.
Caroline Seymour
7 ottobre 2018
Fonte: Onclive